THE DEMIOURGIA PROJECT (FANTASCIENTIFICO)


La prima cosa che vedo è il buio, un'oscurità talmente densa e impenetrabile che per un secondo mi viene il dubbio di stare ancora tenendo gli occhi chiusi. Sbatto le ciglia un paio di volte, ma la vista resta immutata.


Dove sono?


Cerco di alzarmi, ma qualcosa mi impedisce di muovermi. Comincio a sudare, spaventato. Il fatto di non ricordare nulla prima del mio risveglio contribuisce ad accrescere la mia paura.

All'improvviso sento uno schiocco, seguito da un rombo metallico, e il buio comincia lentamente a ritirarsi, lasciando che il vuoto dietro di sé venga occupato da una luce intensa. Serro le palpebre di scatto, anche se un filo di luce riesce a insinuarsi sotto i miei occhi, solleticandoli. Quando il rumore cessa rimango in allerta, i muscoli rigidi, le orecchie bene aperte. Trattengo il fiato e apro gli occhi con cautela.


Al posto del tetto c'è un buco da cui filtra la luce, che non era così abbagliante come mi era sembrata all'inizio, al contrario è fioca, opaca, velata di grigio. Le travi pericolanti che lo sostenevano sono in buona parte spezzate, piegandosi verso di me come una gabbia toracica che ha subito vari traumi. Poche tegole sbeccate oscillano in bilico su di esse, provocando un inquietante cigolio, indecise se resistere o se lasciarsi cadere.


Allungo lo sguardo il più possibile e con la coda dell'occhio scorgo una serie di cinghie e tubicini che mi fasciano il corpo. Cerco di divincolarmi, ma è tutto inutile, non si spostano di un millimetro.


Non mi resta che chiamare aiuto: urlo con tutto il fiato che ho, sempre più forte, imperterrito, anche quando la voce inizia a graffiarmi la gola e la lingua diventa secca. Tossisco per lo sforzo e, con sgomento, mi rendo conto che anche questo tentativo disperato fallisce: la mia eco è l'unico suono che risponde alla chiamata.

Prendo coscienza del fatto che in questo posto ci sono solo io e che nessuno verrà a salvarmi.

Grido per l'ultima volta e, al sentire le mie parole che si disperdono, nuovamente, nell'aria sulfurea, mi arrendo.


Ma quando tutto sembra perduto, un altro rumore metallico mi fa trasalire: le cinghie si allentano e i tubicini scivolano via, sibilando. Non ci posso credere, mi viene da piangere.

Mi metto seduto non appena riacquisto mobilità e faccio scrocchiare le articolazioni irrigidite. Non c'è nulla di rotto, per fortuna.


Circondato da sbuffi di vapore che si sollevano alle mie spalle, mi alzo barcollando e guardo meglio la mia ex prigione: si tratta di una capsula in acciaio inossidabile, un guscio d'uovo lucido e levigato che emana un calore piacevole, collegata a un massiccio portellone su cui, al posto della maniglia, è dipinto un simbolo dorato, una specie di fiore intrecciato dentro un cerchio.

Allontano il vapore con la mano e, oltre alle spesse cinghie di ferro e ai tubicini di plastica, non contiene altro.

Nessuno avrebbe potuto aprirla dall'esterno, e nemmeno dall'interno, quindi dev'essere stata programmata per aprirsi da sola, in un momento specifico. Un brivido mi percorre la schiena, ho un brutto presentimento.


Chi ha progettato questa capsula? Perché l'ha fatto? Perché un macchinario tanto avanzato si trova in un luogo così fatiscente? Ma, soprattutto, come ci sono finito io là dentro?


Le pareti crepate sorreggono a malapena questo posto, cominciano a dare segni di cedimento. Non so quanto ancora resteranno in piedi. Devo andarmene da qui.

Mi faccio strada tra le macerie, cercando di non inciampare o ferirmi, scaravento per terra le assi di legno che bloccano l'uscita e mi ritrovo immerso in un paesaggio da incubo.


Attorno a me c'è la devastazione più totale. I negozi e le abitazioni sono ridotti a miseri calcinacci, molti sono stati schiacciati dal crollo degli edifici più alti. Le strade sono tornate a essere insulse strisce di terreno polveroso, regredite all'epoca in cui l'asfalto non era stato inventato. Un'opprimente cappa cinerea sovrasta questo paesaggio distrutto, il sole nascosto chissà dove.

Non ci sono segni di vita, solo colonnine di cenere che si levano dai detriti. Mi sforzo di percepire anche il suono più flebile, ma per quanto rimanga in ascolto non sento altro che un silenzio innaturale, il silenzio dei morti.

Non si è salvato nessuno: sono rimasto solo io.


Mi lascio cadere in ginocchio e prendo a pugni il terreno finché non scoppio a piangere. Angoscia, paura, sconforto, rabbia, ogni lacrima ha un significato diverso.


Com'è potuta accadere una tragedia simile?


Dopo lo sfogo mi rimetto in piedi a fatica e mi guardo intorno ancora una volta, imbattendomi in quello che sembra essere un miraggio. Aguzzo lo sguardo, mi stropiccio gli occhi, mi do persino uno schiaffo, ma la visione non scompare: un grattacielo alto e longilineo si staglia all'orizzonte, la punta illuminata dalla poca luce grigiognola, somiglia a un faro.

Ricomincio a piangere, stavolta per la gioia. Non so perché sia l'unico edificio a non essere andato distrutto, ma devo raggiungerlo assolutamente: è la mia unica speranza.





I vetri rotti e il cemento scrostato scricchiolano sotto i miei piedi, componendo una macabra colonna sonora per il mio epico viaggio.


Ho dimenticato tutto: il mio nome, la mia età, le mie origini, la mia intera vita. Sono le macerie di me stesso, al pari di questi edifici. Come se non bastasse, la sensazione negativa che mi tormenta da quando ho visto quel simbolo non vuole abbandonarmi, come se il mio sesto senso stesse cercando di dirmi qualcosa che non capisco. È frustrante.


Un boato si estende alle mie spalle, placando questo flusso di pensieri: la casa in cui mi ero risvegliato ha ceduto ed è diventata un tutt'uno con le altre rovine. Rimango a fissarla per alcuni minuti, in attesa di chissà cosa. Il pensiero che la capsula sia rimasta intatta mi fa venire la pelle d'oca.


Giro l'angolo e mi ritrovo in uno stradone bloccato da un grosso cumulo di detriti: posso aggirarlo, impiegando, però, il doppio del tempo, oppure posso scalarlo e scivolare dall'altra parte, con il rischio di sprofondare al suo interno.

Fremo dalla voglia di raggiungere quel grattacielo il più in fretta possibile, così scelgo il secondo metodo.


Comincio ad arrampicarmi, ma il terreno sotto i miei piedi frana e precipito rovinosamente. Sbatto con forza su alcuni mattoni, ma mi rialzo senza troppi problemi, con soltanto un leggero graffio sull'avambraccio.

Nessuna sbucciatura, niente fratture o contusioni. Com'è possibile che dopo una caduta del genere me la sia cavata con un semplice graffietto?

Controllo il resto del corpo con frenesia, in cerca di altre ferite latenti, ma la mia pelle è perfettamente integra.

Non so darmi una spiegazione sensata.


Approfitto di questa scusa per dare un'occhiata ai miei vestiti, a cui non avevo dato particolare peso: si tratta di indumenti estremamente basici, un paio di pantaloni e una maglietta che da candidi erano passati a essere del tutto lerci; sulla maglietta è ricamato lo stesso fiore intrecciato che era disegnato sul portellone della capsula.

Trovarmi questo marchio addosso mette in allarme zone remote del mio cervello, ma non riesco proprio a capire il perché, non mi pare di averlo visto in nessun altro luogo prima d'ora.


Sto camminando da un paio d'ore, ormai, ma non percepisco segni di stanchezza, solo fastidio per tutta la cenere che mi si è incollata addosso.

Mentre scavalco delle aste spezzate, noto una sostanza rossiccia colare dai resti di una grata a poca distanza da me e, senza pensarci due volte, mi precipito in quella direzione. Se là sotto c'è davvero una persona devo sbrigarmi: la possibilità che qualcuno possa essere sopravvissuto qui fuori è molto bassa, ma non posso fare altro che aggrapparmi a questa speranza.


Scivolo sulla polvere, per poco non mi impalo su un pezzo di ferro, e appena guardo con più attenzione mi rendo conto che quella sostanza era solo ruggine.

Non capisco se sono deluso o sollevato. La vista di un cadavere mi avrebbe devastato ancora di più, ma, ora che ci penso, non ho mai trovato tracce di esseri umani sul mio percorso. Dovevano pur essere rimaste macchie di sangue o frammenti di ossa e invece niente, come se questa città fosse stata disabitata ancora prima di venire rasa al suolo.


Guardo alla mia destra, la sagoma del grattacielo sempre più nitida, la mia Stella Polare. Possibile che tutti gli abitanti siano riusciti a rifugiarsi al suo interno appena in tempo?


Inalo un corposo grumo di cenere e vengo sfiorato dall'idea che siano proprio questi i resti nei quali non mi ero ancora imbattuto. Mi vengono i brividi a pensare che potrebbe essere davvero così.





Dopo interminabili ore di viaggio, finalmente mi trovo a pochi metri dal grattacielo.


Ce l'ho fatta.


Tiro un sospiro di sollievo e due lacrime di gioia mi rigano le guance, mentre ammiro questa meraviglia. È un capolavoro di ingegneria, la costruzione più imponente che abbia mai visto, l'ultimo segno di civiltà che svetta con orgoglio sulla distruzione circostante.

L'unico contatto con l'esterno è la doppia porta in vetro temperato che funge da ingresso, sulla quale è dipinto, anche qui, quel dannato fiore che continuo a vedere ovunque. Spero davvero di poter scoprire presto il suo significato.


Busso un paio di volte, ma vengo ignorato. Preferisco convincermi che il vetro sia insonorizzato piuttosto che pensare che l'edificio sia vuoto, il solo pensiero mi riempie d'angoscia. Faccio il giro della struttura per cercare un'altra entrata, ma dopo un lungo susseguirsi di pareti d'acciaio, finisco per ritrovarmi al punto di partenza.


Non mi resta che concentrarmi sulla porta: non ci sono maniglie o campanelli, solo un sottile schermo lucido al centro. Appena i miei occhi raggiungono la sua stessa altezza, questo viene attraversato da un raggio bianco e l'entrata si sblocca con un sonoro schiocco. Trattengo il fiato: la prima porta si apre martellando e, quando mi ritrovo nello spazio vuoto fra entrambe, la seconda si spalanca emettendo un rumore simile, ma più sommesso.

Questa sarà un'altra domanda da porre agli inquilini del posto.


Vengo accolto dalla voce squillante di un assistente vocale, che mi dà il benvenuto. Il suo tono è cortese, ma riesce comunque a farmi sentire a disagio.

Sono in una sala d'attesa pulita e sterilizzata, rivestita dello stesso materiale delle pareti esterne. L'arredamento è spartano, costituito da un bancone laccato e due poltrone tozze ai lati, ma la mia attenzione viene catturata da due elementi in particolare: il fiore stampato sul bancone e due piante ornamentali sistemate ai lati di un ascensore.


Quando passo accanto al disegno sento le budella rimescolarsi e mi dirigo in fretta verso una delle piante. Tasto il busto carnoso e la terra umida in cui immerge le radici, stacco una fogliolina e me la rigiro nel palmo, seguendo le nervature con il dito: sono vere.

Questa scoperta mi riempie di speranza. Non potevano crescere in quello stato da sole, erano troppo curate.

Lascio scivolare la foglia nel vaso e chiamo l'ascensore. Mi tremano le dita al pensiero di stare a pochi passi dalla verità.


L'ascensore atterra sul pavimento con un tonfo e le porte si dischiudono con il tipico clangore. I pulsanti al suo interno sono un centinaio, alternandosi tra numeri e scritte quali "Zona Travaglio", "Zona Caldaia" o "Zona Colture".

Il mio sguardo, però, viene catturato dalla "Zona Madre", l'ultimo piano, e prima che potessi premere il bottone la voce robotica trilla: «Dove vuoi andare?».

Ritraggo la mano, preso alla sprovvista, e dopo aver recuperato la calma pronuncio, con un po' di incertezza, il nome della mia destinazione. La voce non ribatte, ma un'aura bianca si accende attorno al pulsante e la mia salita ha inizio.


A ogni piano l'ascensore sobbalza e tengo occupate le mani sudate sfregandole tra loro. Il mio cervello è una pentola in ebollizione, dove le bolle sono i troppi pensieri che affiorano simultaneamente, scavalcandosi per trovare spazio.


Voglio sapere cos'è successo a me e al mondo intero, continuare a restare all'oscuro di tutto mi sta facendo impazzire.

E se le risposte ai miei interrogativi non dovessero essere piacevoli? Se scoprissi una verità terribile, sarei abbastanza forte da accettarla? Che cosa farò in quel caso?

No, no. Ho un bisogno così vitale di risposte che qualsiasi cosa di cui verrò a conoscenza andrà bene.


Tengo gli occhi puntati avidamente sulla tastiera. Ci siamo quasi.


102...Zona Cisterna...104...105...106...


Seguirono altri sussulti cadenzati, poi silenzio: l'ascensore si ferma di botto e con esso anche il mio respiro.

La voce elettronica mi informa di essere arrivato alla "Zona Madre".





Numerose coppie di colonne sono sistemate in modo da formare un sentiero da percorrere. Mi appare tutto stranamente familiare, anche il ronzio sopra la mia testa, l'impianto per il riciclo dell'aria, è un suono conosciuto. L'istinto mi urla qualcosa, ma non abbastanza forte.

Arrivo in quella che sembra un'area relax, con divanetti grigiastri posizionati intorno a un tavolino e piante ornamentali simili a quelle nell'ingresso. La parete frontale è costituita da una lunga vetrata e affacciata a essa c'è una donna.


Non basterebbero tutte le parole che conosco per descrivere ciò che provo. Dopo tanto tempo passato a disperarmi, a vagare come un folle tra le case di una città in pezzi, a pregare di non essere l'ultimo uomo ancora in vita, finalmente ho incontrato un altro essere umano, proprio come me.

Vorrei correrle incontro, abbracciarla, farle mille domande, condividere con lei la gioia per averla trovata e il dolore per essere gli unici sopravvissuti.


«Ti stavo aspettando» 


Sentire una voce umana mi mette i brividi, soprattutto se non esprime alcun sentimento. Paradossalmente, la trovo meno rassicurante di quella dell'assistente vocale.


«Diventi sempre più veloce a raggiungermi»


Raggiungermi ?


Vuol dire che…mi stava aspettando? È stata a osservarmi fino a ora?


Si volta verso di me, così che io possa finalmente guardarla in faccia. È giovane, ma i suoi occhi sono spenti, lividi, anche lei ha quel misterioso simbolo dorato sul petto. Ciò che più mi inquieta, però, è che ho l'impressione di averla già incontrata.


«Tu chi sei? Voglio dire…Non ti conosco, ma hai un'aria così familiare…Come ti chiami?»


La donna mantiene le labbra serrate e mi osserva senza particolare entusiasmo, stanca, come se volesse essere da tutt'altra parte. Il mio istinto cerca di dissuadermi, ma giunto a questo punto non posso più tacere.


«Ascoltami, mi sono risvegliato dentro una capsula e mi sono messo a vagare per ore in mezzo a una città devastata. Io non so che cosa sia successo, non so perché ero lì, perché sono tutti morti tranne noi e perché questo edificio è l'unico a non essere stato scalfito. Come se non bastasse, continuo a essere perseguitato da questo strano disegno» mi afferro la maglietta e deglutisco un boccone amaro «Se sai qualcosa, ti prego, dimmelo. Ho bisogno di sapere»


Rimane impassibile, come se le avessi descritto una semplice vicenda quotidiana. Prima che io possa ritentare, dischiude le labbra e pronuncia una frase che mi sconvolge.


«Fai sempre le stesse domande, con le stesse parole tra l'altro, mi chiedo come sia possibile...»


Come fa ad averle già sentite se è la prima volta che le parlo?

A meno che…

Ho perso la memoria, quindi può darsi che, questa scena si sia ripetuta, in realtà.


«Ti sembro familiare perché ci siamo incontrati molte altre volte prima di questa. Io sono colei che è stata rinominata "Soggetto Eva" e sono qui, come te, per adempiere alla nostra missione»


Sbatto più volte le palpebre, confuso.


«Quale missione? Di che cosa stai parlando?»


«Siamo stati scelti per prendere parte al "Demiourghia Project", l'opera che rinnoverà il mondo»


«"Demiourghia Project"?»


Ripeterlo ad alta voce mi riscuote, come se mi fossi svegliato una seconda volta. Il mio cervello comincia a esaminare, uno dopo l'altro, ricordi fino a un attimo fa assopiti, zampillando fuori una goccia alla volta.


«Cerca di calmarti e seguimi con attenzione, ogni cosa ti apparirà più chiara fra poco. Vedi, gli esseri umani vivono in un mondo davvero crudele, in cui i buoni soffrono per colpa dei malvagi. Per fortuna non è sempre stato così: all'inizio regnavano l'amore e la gentilezza, ma con il passare dei secoli questi valori sono andati perduti, un po' come i tuoi ricordi adesso, e grazie ai sette Angeli quel periodo idilliaco sta per tornare»


«Gli Angeli?»


Quel nome mi scombussola ancora di più.


«Sono…Sono loro ad aver ideato il progetto?»


«Esatto, vedo che cominci a ricordare»


«E in che cosa consiste, esattamente?»


«Te l'ho detto. Il loro intento è quello di riportare un'epoca di pace sulla Terra, ma per farlo dovranno prima distruggerla. Quando ci saranno riusciti, annientando, di conseguenza, tutto il male che conteneva, spetterà a noi due ripopolarla, dando alla luce abbastanza individui che possano procreare a loro volta, e così via fino al raggiungimento del numero attuale della popolazione globale»


Devo appoggiarmi alla vetrata per non cadere in preda alle vertigini. Un conato di vomito mi risale la gola, ma riesco a rispedirlo in fondo allo stomaco, ho la vista offuscata, la testa come fosse stata schiacciata da una pressa industriale.

Non so se mi da più ribrezzo questa terrificante rivelazione o il tono tranquillo con cui il "Soggetto Eva" me l'ha riferita.


Mi rifiuto di crederlo. Dev'essere uno scherzo di pessimo gusto, un sogno da cui non mi sono ancora svegliato. Tutto questo non può essere reale.


«Non ti agitare»


Mi sembra di aver colto una punta di preoccupazione nella sua voce, ma in realtà non sto ascoltando nulla.


«So che ti sembra assurdo, all'inizio lo è stato anche per me. Non volevo essere coinvolta in nessun modo in un simile piano, ma poi gli Angeli mi hanno aiutata a capire che questa è la soluzione migliore: un mondo corrotto come il nostro può solo rifiorire attraverso la distruzione...»


Il fiore...

Ma certo!

Ecco perché era presente sulla capsula, sull'ingresso del grattacielo, sul bancone, sulle nostre magliette. La soluzione è sempre stata davanti ai miei occhi, ma io ho preferito fingere di essere cieco.


«...ma tutto questo non potrà accadere se tu non accetterai il tuo compito»


«Il mio compito?»


«Tu sei il "Soggetto Adamo" e il tuo compito è provvedere alla nascita di un'umanità pura e rinnovata insieme al "Soggetto Eva". Smettila di opporti, in questo modo finisci solo per complicare inutilmente la situazione»


Il "Demiourghia Project"...gli Angeli…il "Soggetto Adamo"...


Tutte queste informazioni si incastrano nella mia mente come un puzzle e quando, finalmente, si viene a creare un'immagine nitida, la verità mi colpisce con un pugno.


Adesso ricordo tutto. Forse troppo, addirittura, con il senno di poi avrei preferito che alcune cose fossero rimaste sepolte per sempre. Per tutto questo tempo sono stato manovrato inconsapevolmente dai miei stessi ricordi, che cercavano un modo per tornare a galla.


I miei occhi tornano a vedere con chiarezza e si posano sul simbolo che porto, facendomi provare una rabbia incontrollabile. Vorrei strapparmelo di dosso, è lo stesso marchio che imprimono sulla pelle delle bestie prima di mandarle al macello, la prova di non avere più il controllo della mia persona, ma di appartenere a qualcuno che può usarmi a suo piacimento.

Sto per esplodere e, per un attimo, spero davvero che succeda, per me sarebbe molto meglio così.


Raggiungo il tavolino al centro della stanza, ondeggiando come un sonnambulo.


«Ho capito, anzi, non è mai stato così chiaro prima d'ora: continuerò a rivivere tutto questo fino a quando non mi sarò convinto, vero?»


«Esatto. Vedo che hai recuperato la memoria»


La sua intonazione indifferente mi fa ribollire il sangue, ma cerco di essere il più compiacente possibile.


«Hai ragione tu, sai? In fondo, siamo entrambi nella stessa situazione e sarà meglio smettere di scontrarci e di iniziare a collaborare per fare andare il progetto a buon fine. Sono stanco di ripetere le stesse azioni ogni giorno, mi sento come un animale ammaestrato. Tanto, per quanto mi impegni, non riuscirò mai a scappare da questa gabbia»


«Sono felice che ti stia mostrando ragionevole, finalmente» il "Soggetto Eva" solleva leggermente un angolo della bocca «Adesso che siamo arrivati a un punto comune, non ci resta che comunicare la tua decisione agli Angeli e iniziare a occuparci del nostro compito. Vedrai, saranno molto felici quando sapranno...»


Non le lascio concludere la frase che le sbatto addosso il tavolino con tutte le mie forze. I suoi riflessi sono veloci ma, nonostante si sia parata, il colpo riesce comunque a buttarla a terra.


«Pensi davvero che mi darò per vinto tanto facilmente? So che quegli psicopatici sperano che tu possa portarmi dalla loro parte, visto che da soli non ci sono riusciti, ma continuerò a dirti sempre la stessa cosa: non importa cosa faranno al mio corpo o al mio cervello, quante altre volte mi faranno risvegliare in quella maledettissima capsula o quanto tu possa essere convincente, non acconsentirò mai a realizzare una simile pazzia!»


Continuo a colpirla anche quando il tavolino si spezza a metà, sfogando tutta la mia rabbia e frustrazione. Lei rantola e si raggomitola ai lati di un divanetto, in cerca di un riparo, tentando di proteggersi con le mani.


«E tu sei solo una sciocca a permettergli di sfruttarti per i loro scopi. Hai visto cosa c'è là fuori, vuoi davvero che si realizzi? Non capisci che è sbagliato? Invece di piegare la testa dovresti unirti a me, ribellarti e combattere. Insieme possiamo impedirglielo!»


«No, invece»


I suoi deliri sono un esile mormorio, la sua voce esprime sofferenza, come quella di un vero essere umano.


«Non possiamo opporci. Questo è il destino che gli Angeli hanno scelto per il mondo e per noi...non abbiamo altra scelta...»


«C'è sempre una scelta, ma se non vuoi vederla, significa che la tua l'hai già fatta! Anche se sono da solo, continuerò a lottare fino alla fine dei miei giorni, se sarà necessario. Io non sono un animale, non riusciranno a farmi fare quello che vogliono. NON MI ARRENDERÒ MAI!»


In quel momento, delle fitte lancinanti mi partono alla tempia. Lascio cadere il tavolino sopra il "Soggetto Eva", che ha smesso di muoversi, e mi prendo la testa fra le mani. Dalla tempia sono passate all'occhio e da lì si sono estese su tutta la faccia, per poi scendere giù e colpire il resto del corpo. Cerco di sopportarlo, ma le gambe cedono e mi accascio sul pavimento in preda al dolore. Prima che possa perdere i sensi, uso le mie ultime forze per parlare direttamente con gli Angeli.


«M-mi sentite, non è così? Non importa cosa mi farete...farò di tutto per mandare all'aria questa follia...voi...non mi avrete mai…mai!"


Altre scariche mi attraversano il cervello, più potenti delle precedenti, e ripiombo nella stessa oscurità densa e impenetrabile nella quale mi ero svegliato all'inizio.





«Simulazione n°175: il "Soggetto Adamo" continua a manifestare comportamenti violenti nei confronti del "Soggetto Eva". Progressi rilevati: 6,03%. Esito della simulazione: fallimentare»


«Reazione agli stimoli esterni: ottimale. Capacità di ragionamento: ottimale. Resistenza fisica: ottimale. Livello di fertilità raggiunto: 87,14%. Eccellente, ha superato di gran lunga la media. Proseguire il trattamento»


«Aumentare del 70% la somministrazione del siero al "Soggetto Eva": non possiamo permetterci un altro collasso»


«Il "Soggetto Adamo" possiede una volontà incorruttibile, si ostina a non voler collaborare. Il "Soggetto Eva", al contrario, ha deciso di appoggiare la causa dopo solo nove giorni»


«Vorrà dire che le simulazioni diventeranno sempre più frequenti e impegnative»


«Non abbiamo altra scelta: il progetto si basa sulla cooperazione tra il "Soggetto Adamo" e il "Soggetto Eva", se uno di loro dovesse ribellarsi e non portasse a termine il suo compito, tutti i nostri sforzi saranno stati vani»


«Ci stiamo avviando alla Fase 14:15. La costruzione delle sette bombe "Katastrofè" è ultimata, gli ultimi collaudi in laboratorio e verranno presto sganciate su Babilonia. La mietitura si avvicina, la messe della terra è quasi matura»


«Con la distruzione della Grande Prostituta avranno inizio in contemporanea la Fase 21:1-2 e la Fase 1:26-28, dalla quale dipende la riuscita dell'intero progetto»


«Una nuova era sta per sorgere, rallegriamoci ed esultiamo! Il genere umano continuerà a prosperare su una Gerusalemme rinnovata, libera dal dominio del peccato»


«Questa è la volontà di nostro Signore, questo è ciò che ci è stato tramandato da nostro fratello Giovanni e noi, i Sette Angeli, siamo stati scelti per portarla a compimento. Che la grazia del Signore Gesù sia con tutti noi! Alleluia!»


«ALLELUIA!»


«Riconversione dati. Ripristino delle caratteristiche chimico - fisiche del territorio in un raggio di 30 km. Ripristino parametri vitali: riserva d'ossigeno, attivata; riserva di calore, attivata; impulsi elettrici al cervello, attivati. Avvio simulazione n°176...»


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