LA TERZA MOIRA (FANTASY)



«Notte poi partorì l'odioso Moros e Ker nera e Thanatos, generò il Sonno, generò la stirpe dei Sogni;e le Esperidi che, al di là dell'inclito Oceano, dei pomi aurei e belli hanno cura e degli alberi che il frutto ne portano;e le Moire e le Kere generò spietate nel dar le pene:Cloto e Lachesi e Atropo, che ai mortali quando son nati danno da avere il bene e il male,che di uomini e dei i delitti perseguono;né mai le dee cessano dalla terribile ira prima d'aver inflitto terribile pena,a chiunque abbia peccato.»


(Esiodo, "Teogonia", vv. 211-222)




2 Febbraio



Correva, correva a più non posso. Saliva le scale due gradini alla volta, con il rischio di spezzarsi l'osso del collo, veloce quasi quanto Filippide. Arrivata al terzo piano, il suo sguardo cadde su un carrello sospeso lì vicino. Che stupida! Come aveva fatto a non pensarci?


Vi saltò dentro e tirò le corde con così tanta forza che le si arrossarono i palmi. Nonostante la cascata di fili di rame attraverso cui stava passando, lei ne vedeva soltanto uno:quello che avrebbe tagliato. Doveva sbrigarsi, non c'era tempo da perdere.


Raggiunto il ventesimo piano scavalcò la balaustra con un balzo, ma calcolò male il salto e inciampò, ritrovandosi per terra. Dopo essersi rialzata, si ritrovò davanti Kira, con la sua tipica espressione di pietra:impugnava un paio di cesoie argentate, chiuse sopra il filo.


Questo cadde mollemente verso il basso, disegnando delle onde disordinate, come quelle che si formano sulla superficie del Mar Egeo scosso da Eolo. Rimase attaccata al soffitto solo la punta, che si dissolse pochi secondi dopo insieme al resto.


La ragazza era sconvolta.


"Come...Come hai fatto...?"

"Ero già qui. Ne ho tagliati altri tre, poco fa, sempre su questo piano"


Yvonne sussultò. Quindi adesso sua sorella era in vantaggio di quattro vite. Era terribile, doveva assolutamente recuperare. 


In quel momento, Cloe raggiunse con un altro carrello il punto in cui era stato tagliato il filo, affondò entrambe le mani nel soffitto fatto di immagini in movimento e vitalità e le tolse poco dopo, lasciando dietro a ogni dito un piccolo filo identico a quelli già presenti. 

Le due ragazze stettero lì, appoggiate alla balaustra del nono piano, fissando il soffitto e i fili, non necessariamente in quest'ordine, in attesa di porre fine a qualche altra vita.


Zoe, dal trentunesimo piano, aveva visto tutta la scena e si concentrò in particolare sulle gemelle. Erano nella stessa posizione, sembrava che ci fosse uno specchio in mezzo a loro e che solo una delle due esistesse realmente.


Era forse un presagio futuro?



La Torre del Fato si sviluppava su cento livelli concentrici, raggiungibili grazie ad altrettanti carrelli sospesi, aggiunti per facilitare la salita e la discesa, e a due scale a chiocciola che avvolgevano la costruzione in una spirale candida.

Tutto era bianco, dalle colonne doriche che sorreggevano i vari piani ai bassorilievi sulle pareti che raffiguravano, dal basso verso l'alto, ogni generazione di Moire che si era susseguita.


In basso c'era una porta di legno di sambuco, decorata da trame più complicate di quelle che tessevano Penelope o Aracne e che permetteva solo alle sorelle più grandi di andare nel mondo dei mortali, mentre in alto c'era quella che Cloe chiamava "la finestra". 

Perchè, in effetti, era l'unica finestra dalla quale tutte le sorelle potessero vedere quel luogo di cui una volta facevano parte.


Non stavano mai fermi, i mortali, sempre impegnati a fare mille cose al minuto. Correvano, parlavano, si agitavano, faticavano. Una visione davvero interessante, anche se non sempre gradevole. 


Venivano mostrate situazioni diverse in ogni momento, sorvolando su quelle meno importanti ma soffermandosi su quelle fondamentali, come la nascita o la morte di uno di loro.


In quel momento "la finestra" stava mostrando una via cittadina:le macchine si susseguivano una dopo l'altra sulla carreggiata, una coppia si stava baciando all'ombra di un portico, un cane pulcioso vagava senza meta con la lingua penzoloni poco più avanti e due bambini si rincorrevano sul marciapiede, scappando dalla madre che, poco più indietro, accelerava il passo per tentare di raggiungerli.


Yvonne guardava quello spettacolo accovacciata dentro un carrello, le gambe incrociate e il volto poggiato sui palmi ancora arrossati, e rifletteva. Rifletteva sul fatto che mancasse un mese esatto al Giudizio e che, quindi, doveva sbrigarsi a porre fine ad altre quattro esistenze, in modo da portarsi nuovamente in parità con Kira. 

Rifletteva anche sul fatto che ormai la sua vita, se così si poteva chiamare, verteva solo attorno a quella competizione, fatta di vantaggi, svantaggi e parità, di calcoli mentali con lo scopo di tenere il conto di quante persone avessero ucciso, di preoccupazioni per le classifiche, di tensione, di paura.


Paura perchè non sapeva che fine avrebbe fatto se avesse fallito. Atropo aveva parlato di una sparizione, destinata a chi avesse perso, ma lei non riusciva a comprendere il significato di quella parola. Sparire era sinonimo di morire? Gli dei non muoiono, ma i semidei come lei? Potevano semimorire?


E se a fallire fosse stata sua sorella, cosa le sarebbe successo? Lei di certo non voleva sparire, ma non voleva neanche che a sparire fosse la sua gemella, il sangue del suo sangue.


Forse era per questo che Kira la rimproverava sempre.


"Non devi pensare a quello che succederà a te o a me, devi soltanto portare a termine la prova che ci è stata affidata:tagliare il filo della vita di più mortali possibili entro il Giudizio, punto!"


"Se ti fai così tanti scrupoli, non potrai mai diventare l'incarnazione della Moira più potente di tutte!"


Yvonne si chiedeva come sua sorella  riuscisse a sopprimere le emozioni in quel modo, al contrario di lei, ancora troppo emotiva.

Ogni volta che metteva fine a un'esistenza era sempre impassibile, non mostrava mai dispiacere o ripensamento. Non mostrava alcun sentimento neanche quando tutte e quattro cercavano di farsi compagnia a vicenda, per scacciare la reciproca noia.


Lei sì che sarebbe stata una Moira perfetta:imperturbabile, incurante dei mortali, inesorabile.


Ma la paura di sparire era troppo forte, non poteva e non voleva lasciarla vincere. Doveva recuperare quattro vite, a cominciare da quella.


Il filo sopra la sua testa aveva raggiunto la lunghezza massima, non poteva prolungarsi ulteriormente. Era arrivato il momento di reciderlo.


Guardò la persona a esso legata e le si strinse il cuore.


Purtroppo, sapeva che i fili non potevano essere modificati in alcun modo, dunque prese le cesoie argentate sul fondo del carrello, si mise in punta di piedi, reggendosi alle corde, e fece un taglio netto.


Il sottile filo ramato precipitò senza emettere suono e si dissolse nel nulla ancor prima di toccare il suolo. In quel preciso istante, uno dei bambini che stava correndo attraversò la strada e una macchina lo prese in pieno, provocando sull'asfalto un tonfo sordo, pari a quello prodotto dalla caduta di Icaro.


Quel rumore si era insinuato nelle orecchie di Yvonne, insieme al pianto disperato della madre e dell'altro bambino.


Si allontanò in fretta da quella scena dolorosa e cercò di convincersi che la sua morte avesse aiutato una buona causa.


Ora ne mancavano altre tre.




11 Febbraio



Il Giudizio:il giorno in cui sarebbe stato deciso il destino delle gemelle.


Erano secoli, forse anche millenni, che le Moire si incarnavano in tre mortali.

Al tempo di Pericle, un povero contadino aveva visto morire, anno dopo anno, le sue tre figlie e la moglie di un male incurabile. Tuttavia, il contadino non inveiva contro le Moire, accusandole di aver assegnato alla sua famiglia dei fili troppo corti, come facevano gli altri mortali.


Al contrario, diceva di essere felice del fatto che le dee avessero dato una vita, seppur breve, a quelle persone che aveva avuto la fortuna di amare, e sfruttava al meglio i loro ultimi giorni trascorrendo insieme più tempo possibile.


Dunque le Moire vollero premiare la saggezza e l'accettazione del contadino:tramite Ermes, gli dissero che si sarebbero incarnate nelle sue giovani figlie, ormai giunte nell'Ade, e che queste avrebbero abitato la Torre del Fato per molti secoli. Poi il contadino si risposò ed ebbe altre tre figlie, cosicchè le Moire, nel corso dei secoli, poterono incarnarsi in altre tre sorelle di quella discendenza.


E poi nacquero loro.


Fino alla nascita di Zoe tutto andava secondo le previsioni, ognuna di loro sarebbe diventata una Moira in base alla propria età, ma quando nacque Cloe il corso degli eventi mutò drasticamente e il Cosmo andò in subbuglio, rischiando di collassare. C'erano quattro sorelle per tre divinità.


Non era mai successa una cosa del genere, la discendenza del contadino si era sempre composta di tre figlie. Ma stavolta no.


Apparve chiaro fin da subito che l'ultima nata sarebbe dovuta essere l'incarnazione di Cloto, colei che origina il filo della vita degli uomini, mentre in Zoe, la sorella di mezzo, si sarebbe dovuta incarnare la Moira che decreta la lunghezza di quel filo, Lachesi. Il problema sorgeva con l'incarnazione di Atropo, la maggiore, la più potente di tutte, l'inesorabile, che taglia quel filo relegando negli inferi il mortale a esso legato.


Come capire quale delle due gemelle avrebbe dovuto prendere il suo posto? 


Mettendole alla prova, naturalmente.


Fu così che, il giorno in cui le quattro sorelle furono condotte da Ermes nella Torre del Fato e trasformate in Moire, Atropo diede inizio alla competizione. A partire da quel giorno, Yvonne e Kira avrebbero avuto tre anni di tempo per riuscire nella loro impresa, paragonabile a una delle fatiche a cui era stato sottoposto Ercole. Durante il Giudizio, Atropo le avrebbe valutate e si sarebbe incarnata nella vincitrice, per la perdente, al contrario, la sparizione, l'oblio, il nulla.


Atropo credeva anche che, nel frattempo, le due si sarebbero staccate dall'umanità che le legava ancora al mondo dei mortali e che avrebbero sviluppato l'apatia e la noncuranza verso di essi e le loro vicende, doti imprescindibili per una Moira.


La data del Giudizio era ormai imminente e le gemelle erano ancora una volta in parità. Nessuno sapeva chi sarebbe stata a recidere il filo decisivo.



Quando le scale di pietra bianca furono gradualmente sostituite da dei gradoni di legno e muschio, capirono che si stavano avvicinando all'uscita. Alla fine della salita, furono investite da una luce così potente che le ragazze si coprirono gli occhi per non esserne accecate. Scavalcarono un tronco morto, il confine tra i due mondi, e abbandonarono l'Ade definitivamente. Raggiunsero le loro biciclette, incatenate a un lampione poco più avanti, tolsero i lucchetti e iniziarono a pedalare.


Il cielo era terso e il sole caldo ma non cocente, così da lasciare sulla pelle, rinfrescata da una lieve brezza, un gradevole tepore. Elio ed Eolo dovevano essersi riappacificati quel giorno, tanto il clima era mite.

I muscoli delle sorelle erano stanchi, ma allo stesso tempo rinvigoriti da quello sforzo. Sentirli stendere e contrarre a ogni movimento era davvero soddisfacente, se non addirittura bello, come lo era anche il rumore delle ruote prima sulla strada sterrata, poi sull'asfalto.


Gli stormi che facevano ritorno dai paesi caldi e la quiete della campagna incontaminata venivano gradualmente sostituite dalla frenesia cittadina, dalle persone iperattive che affollavano ogni centimetro percorribile e dalle macchine chiassose che riempivano il resto dello spazio. Le gemelle odiavano quegli ammassi di metallo:il fumo puzzolente che si lasciavano dietro le faceva tossire e a ogni clacson improvviso sussultavano, spaventate.


Arrivate alla piazza principale trovarono Hugo seduto sul bordo della fontana, la bici per terra, lo sguardo rivolto in alto, perso chissà dove. 

Kira e Yvonne dovettero chiamarlo più volte per catturare la sua attenzione e quando il ragazzo si accorse della loro presenza le salutò allegramente, scusandosi per non averlo fatto prima. I tre ripresero a pedalare e, dopo un quarto d'ora, si fermarono in un bar, dove finalmente poterono pranzare. 


Le sorelle presero due focacce e assaporarono ogni morso di quelle delizie. I pezzetti di oliva e formaggio si frantumavano sotto i loro denti e andavano a formare, con la mollica morbida che si scioglieva in bocca, una poltiglia molla, unta e calda, lasciando sulle loro lingue un sapore aromatico e squisito. A Yvonne, ogni volta che beveva, piaceva sentire anche ogni singola goccia d'acqua bagnarle le labbra e scenderle giù per la gola, dissetandola.


Queste erano alcune delle cose che le rendevano felici di essere ancora per metà mortali:godere del bel tempo, del canto degli uccelli, della vista della natura, tutti doni degli dei generosi, assaporare il cibo, bere, andare in bicicletta, passare una giornata spensierata con un amico. Potevano ancora vantarsi di far parte di quel complesso sistema che era la vita, esserne comprese insieme a tutti gli altri viventi.

Dopo il Giudizio, tutte queste cose sarebbero diventate vaghi ricordi, sensazioni irripetibili.


Hugo era l'ultimo legame che le gemelle avevano con il mondo dei mortali, l'ultimo ricordo di quella vita pienamente umana in cui non sapevano cosa fossero destinate a diventare. Lo avevano conosciuto ancor prima della nascita di Zoe e avevano tessuto con lui una solida e resistente amicizia.


Lui non conosceva la loro natura semidivina, ovviamente, e di conseguenza non sapeva come mai avessero smesso di frequentare la scuola, dove fossero finite Cloe e Zoe o perché ormai potessero vedersi solo di rado. 


A ognuna di quelle domande, le gemelle davano delle giustificazioni che, però, non riuscivano sempre a convincerlo. Per esempio, riguardo alle piccole, gli avevano detto che erano andate a vivere dai loro nonni in Oriente e, quando lui aveva chiesto perché non fossero partite insieme a loro, le due gli avevano risposto che avevano ancora alcune cose da fare lì e che le avrebbero raggiunte non appena avessero finito. A quel punto lui faceva spallucce e non chiedeva più nulla, anche se le sue domande non erano state del tutto soddisfatte.


Se avesse saputo la verità, d'altro canto, non vi avrebbe creduto oppure non l'avrebbe compresa pienamente:in fin dei conti, era un semplice mortale e le macchinazioni divine erano qualcosa più grande di lui.


Per fortuna, in quella rara uscita, si era limitato a godersi la compagnia delle ragazze senza ulteriori paranoie, così come Kira e Yvonne. Visti in quel bar o a bordo delle loro biciclette sembravano tre normalissimi amici, che parlano, scherzano e ridono senza grandi preoccupazioni. Ma era tutta apparenza. Nessuno poteva vedere il grosso fardello che le due portavano sulle spalle.


Il prossimo mese Hugo avrebbe compiuto gli anni, ma tutti e tre erano consapevoli del fatto che le gemelle non ci sarebbero state:lui perchè sapeva che quel giorno sarebbero partite per raggiungere le sorelline, loro perchè quell'evento sarebbe avvenuto nello stesso giorno del Giudizio.

Quella giornata era il loro implicito addio a lui e alla vita mortale.



La prima parola che Kira e Yvonne associavano alla Torre del Fato era monotonia. Era sempre tutto uguale a se stesso, non solo l'edificio, ma anche i loro gesti, le loro parole e persino i loro pensieri.

Anche "la finestra", pensandoci bene, mostrava sempre gli stessi due eventi. Scene diverse apparivano assai raramente, più rapide di una saetta scagliata da Zeus, e non facevano in tempo a essere memorizzate che venivano offuscate dalle solite visioni.


D'altronde, cos'era la vita di una Moira? Creare, prolungare o tagliare fili, ancora, e ancora, e ancora, fino a che non fosse stata rimpiazzata da una nuova discendente.

Un tempo talmente lungo che le menti delle gemelle non riuscivano a raggiungerlo, nemmeno a immaginarlo.




22 Febbraio



Il Giudizio era alle porte. La Torre del Fato in fermento, l'ansia palpabile.

Le gemelle passavano da un piano all'altro, facevano su e giù per le scale, si appostavano dentro un carrello, all'erta, inquiete, e appena un filo raggiungeva la lunghezza massima, si scagliavano su di esso e lo recidevano senza pietà.


Yvonne stava imparando a non farsi più intenerire dai mortali:c'era in gioco la sua esistenza e lei non poteva permettersi di perderla a causa di qualcuno che non si curasse minimamente di lei. Kira, d'altro canto, non aveva mai smesso di mietere vite con la stessa insensibilità con cui aveva iniziato.

Erano ancora in parità:ormai era diventato un tira e molla infinito. Ogni volta che una si portava in vantaggio, l'altra recuperava subito dopo.


La tensione che c'era tra loro ricadeva anche sulle altre due. Cloe e Zoe, infatti, erano continuamente in agitazione, senza sapere il perché:Cloe correva sui suoi giovani piedini tutto il giorno, avanti e indietro, per rimpiazzare il prima possibile i fili tagliati, seguita subito dopo da Zoe, che le stava con il fiato sul collo e la esortava a sbrigarsi, in modo che lei potesse prolungarli senza perdere tempo.


La sua voce era ormai l'unica che riecheggiava nella Torre:l'atmosfera conviviale e serena era stata rimpiazzata da un cupo silenzio e le quattro sorelle quasi non si rivolgevano più nemmeno uno sguardo. L'Ade non era più solo fuori da quelle pallide mura, ma anche dentro di esse.


La bambina fu la prima a crollare a causa di quel legame familiare distrutto e un giorno, mentre stava scendendo le scale per andare a creare altri fili, scoppiò a piangere.


Quello strillo disperato riecheggiò per tutta la Torre e le tre sorelle si voltarono di scatto verso il trentatreesimo piano, dove si trovava la sua fonte. Yvonne e Zoe salirono sul carrello più vicino senza nemmeno pensarci.

Kira si era bloccata nel carrello opposto a quello di Yvonne, con le corde ancora strette nelle mani. Alzò lo sguardo verso un filo e rimase a fissarlo, titubante. Fra qualche minuto avrebbe smesso di allungarsi e si stava portando lì in anticipo, ma qualcosa l'aveva frenata. 

Se sua sorella lo avesse tagliato al suo posto si sarebbe portata in vantaggio, però...nonostante questo...forse prima doveva...


Si riscosse e scese dal quarantesimo piano a quello dove si trovavano le altre, scavalcò una balaustra e trovò le due chine su Cloe, rannicchiata a metà delle scale, la faccia nascosta dalle mani. Zoe fu la prima ad abbracciarla, seguita dalle gemelle. Sembrava inconsolabile, ma bastarono poche parole d'affetto per calmarla.


Yvonne guardò la sua gemella con la coda dell'occhio e notò che le sue sopracciglia erano lievemente aggrottate e che i suoi occhi non erano coperti dal solito velo di menefreghismo:due segni impercettibili agli altri, ma perfettamente visibili a lei.


"Scusaci se ti facciamo sentire così..." sussurrò a Cloe, baciandole la fronte.


Kira capì che si stava scusando per entrambe e rimase in silenzio. Il suo volto era tornato apatico.


L'ultimo piano, lontano dalle sue sorelle, era l'unico posto in tutta la Torre in cui poteva permettersi di piangere. Un pianto silenzioso ma liberatorio, lungo, senza freni.


Non ce la faceva più a non esternare nulla, a mostrarsi sempre come un guscio di tartaruga vuoto o come un sasso levigato dall'Egeo. Quando era ancora totalmente mortale, lei era spensierata come Cloe e preda dei propri sentimenti come la gemella, ma si era dovuta adeguate in fretta alla sua nuova natura.


Se fosse rimasta legata al suo vero carattere, non avrebbe mai potuto sperare di diventare la terza Moira e questa non era una scelta contemplabile.

In realtà, nessuna scelta lo era:lei doveva solo compiere il suo destino a discapito della sorella, senza rancori o ripensamenti, punto.


Che cosa crudele…

E che cosa ipocrita tentare di convincere Yvonne con quest'argomento, quando anche lei stessa titubava prima di recidere un filo.


Male! 


Se la intenerivano dei mortali, come avrebbe fatto a tagliare il filo della sorella durante il Giudizio?


Rimandava la risposta a quella domanda ogni giorno, senza accorgersi che il momento era sempre più vicino. Il solo pensiero la faceva stare male e le dava la nausea.


Non ce l'avrebbe mai fatta.


Male!


Doveva per forza fare in modo che Atropo si incarnasse in lei, non poteva lasciare il posto a Yvonne.


Lei voleva continuare a esistere.




2 Marzo


Erano passati tre anni. L'attesa era finita.


In mezzo alla cascata di fili si formò una nebbia tetra dalla quale apparve Atropo, seduta su un trono sospeso fatto da rami di biancospino dorati intrecciati tra loro:la Moira era completamente avvolta in un logoro mantello nero, il cappuccio alzato le copriva il volto rugoso e impenetrabile, dal quale si potevano scorgere solo un paio di occhi arcigni, mentre una mano ossuta e affusolata teneva in pugno delle cesoie dorate.


Le quattro sorelle erano al cospetto di quell'entità solenne, la pioggia ramata sopra di loro. Le maggiori si inchinarono e le decantarono un breve inno, mentre Lachesi e Cloto, incarnate nelle minori, le rivolsero un sorriso affettuoso.


"Il Giudizio è giunto" gracchiò imperiosa l'Inesorabile fissando le gemelle "Oggi saprò in chi di voi due dovrò incarnarmi"


Sollevò un dito grinzoso davanti a sè, in direzione di un filo giovane.


"Visto che siete in parità, il filo di fronte ai miei occhi sarà quello decisivo. La prima che lo taglierà, farà lo stesso con il filo dell'altra e a quel punto le Moire torneranno a essere tre, l'Ordine sarà ripristinato e un'altra discendenza governerà sulle vite dei mortali"


Le sorelle si salutarono per l'ultima volta:Zoe e Cloe sarebbero rimaste volentieri in quell'abbraccio per i prossimi trecento anni, pur di non scoprire a chi avessero appena detto addio. 


Neanche le gemelle volevano abbandonare quelle braccia dolci e familiari ma, come per i mortali, il loro tempo era giunto al termine.

Si separarono a fatica e le piccole salirono su un carrello, dirette al sessantesimo piano, da dove avrebbero visto bene quello che sarebbe accaduto. Durante la salita non smisero un secondo di guardare le gemelle e nemmeno quando scavalcarono la balaustra lo fecero. Kira e Yvonne le osservarono a loro volta, registrando nella loro mente ogni più piccolo dettaglio dei loro visi.


La Moira sollevò le braccia e, man mano che le abbassava, due fili argentati scesero ai lati della cascata. Appena arrivarono raso terra la dea si fermò e battè le cesoie sul trono, producendo uno stridere metallico.


"Che la prova giunga al termine!"


Le gemelle furono come attraversate da una scarica elettrica, sembrava che gliel'avesse provocata Zeus in persona, e si fiondarono di scatto  ognuna su una scalinata diversa.


Non avevano mai corso così tanto e così tanto in fretta come allora, tutte le altre volte erano delle passeggiate tranquille a confronto. Zeus aveva certamente chiamato in loro soccorso suo figlio Ermes e questo doveva aver sostituito le scarpe delle ragazze con i propri calzari. 


Più livelli superavano, più pensavano e i pensieri si rincorrevano a loro volta, senza sosta, dentro le loro menti.

Per una di loro quelle erano le ultime scale, le ultime corse, le ultime sensazioni di fatica, gli ultimi dolori ai piedi, l'ultima volta in cui erano consapevoli di avere dei piedi. L'ultima volta in quella Torre, insieme alle proprie sorelle e al proprio doppio.


Cloe e Zoe osservavano con trepidazione quella scena, angosciate e curiose al tempo stesso di sapere come sarebbe finita, mentre Atropo le scrutava dall'alto del suo trono, incombente.


Yvonne era arrivata all'undicesimo piano quando vide un carrello sfrecciare sopra la sua testa. Tornò indietro e, dopo essere quasi scivolata, saltò dentro il primo carrello che trovò. Era esausta, tutti i muscoli indolenziti e pulsanti, e Kira l'aveva superata di molto, ma nonostante questo scelse di non darsi per vinta e tirò le corde con tutta la forza che aveva. 

Quello sforzo immane stava dando i suoi frutti:era a meno di un metro dalla sorella.


Come avrebbe fatto l'una a stare senza l'altra, senza riflettersi più nella sua immagine o senza dirle quanto le volesse bene?

Come avrebbe fatto l'una a condannare l'altra alla sparizione, a quella che aveva capito essere la morte definitiva per chiunque, semidèi compresi.


Kira tirava le corde con ancora più forza di quella che ci stava mettendo Yvonne, ma la stanchezza si stava facendo sentire. Allentò la presa quanto bastò per essere superata e si maledisse per quel gesto che avrebbe potuto costarle tutto.


Arrivate al quarantesimo piano, vicine al filo a sufficienza, presero le rispettive cesoie e con un movimento fulmineo le aprirono sopra di esso, all'unisono.


I loro occhi si incrociarono e le due ragazze rimasero immobili. Entrambe erano sudate, distrutte, ansimavano e avevano i palmi in fiamme. Sembravano due figure dipinte su un cratere attico, nella stessa posa plastica, speculari.


Cosa stavano aspettando? Perchè nessuna di loro si decideva a recidere quel filo?


Cloe e Zoe si scambiarono delle occhiate interrogative, mentre la Moira non cambiò di una virgola l'espressione apatica che aveva mantenuto da quando si era manifestata nella Torre.


Kira e Yvonne rividero, l'una negli occhi dell'altra, la vita che avevano condiviso fino a quel momento:la loro infanzia umana, la rivelazione di Ermes, la loro quotidianità nella Torre, interrotta dalle occasionali visite al mondo dei mortali, gli ultimi tre anni, quel medesimo, intenso istante.


Non c'era un solo ricordo dove l'altra fosse assente, nel bene o nel male.

Ucciderla sarebbe stato come uccidere se stessa.


Yvonne sobbalzò:lo sguardo di sua sorella non era più impassibile, ma sofferto e premuroso. I suoi occhi si inumidirono e Yvonne capì che aveva avuto la sua stessa idea.


"Ti voglio bene...Troppo..." sussurrò.


Due lacrime le rigarono il viso.


"Anche io...Troppo"


In quel preciso momento, si arresero davanti al loro destino e decisero di sfidare il Cosmo e il suo stesso Ordine, tagliando il filo contemporaneamente.


Quel pezzo di rame precipitò piano, pianissimo, lieve come il primo fiocco di neve, ma mentre questo si dissolve al contatto con la terra fredda, il filo sparì quando era ancora sospeso in aria, trascinandosi dietro l'esistenza del mortale a esso legato.


La festa si trasformò in tragedia. Tutti si affacciarono alla terrazza, dove si stavano svolgendo i festeggiamenti, e guardarono sconcertati il ragazzo che era precipitato al suolo.


Stava ballando, quando cadde giù dal parapetto. Era successo tutto troppo in fretta per capire come fosse effettivamente andata la vicenda:forse era inciampato su qualcosa o era troppo brillo per porre attenzione a ciò che lo circondava.

Fatto stava che adesso la sua testa galleggiava in una pozza di sangue.

I ragazzi urlarono, piansero, entrarono in panico. Alcuni riuscirono a mantenere un minimo di lucidità e chiamarono l'ambulanza, ma ormai per Hugo non c'era più niente da fare.


La Torre fu inondata da un bagliore dorato potente quanto il sole a mezzogiorno, così tanto da costringere Cloe e Zoe a coprirsi gli occhi. La Moira era scomparsa:non c'era più traccia del trono o della nebbia e i due fili ai suoi lati si sgretolarono in infiniti granelli argentati.


Tutto diventò confuso, sfumato, ogni cosa si mescolò con l'altra, fino a fondersi con la realtà stessa, mutandola definitivamente. Sembrava che il Caos stesse generando un nuovo Cosmo, più stabile del precedente.


Le gemelle non riuscivano a comprendere cosa stesse accadendo fuori e dentro di loro. Sentivano di liquefarsi lentamente, per poi ricomporsi fino a formare un tutt'uno, un agglomerato resistente e compatto. I loro corpi si fusero, come anche le loro menti e le loro anime. Potevano vedere le stesse forme, sentire gli stessi suoni, pronunciare le stesse parole, formulare gli stessi pensieri:adesso non esistevano più due entità distinte e separate, ma una sola, completamente divina.


Il bagliore si affievolì fino a sparire del tutto, facendo piombare nella Torre la consueta atmosfera eterea e sulfurea. Le ragazzine riaprirono gli occhi con cautela e si affacciarono verso il punto da cui era scaturita quella luce, bramose di scoprire chi avesse vinto. 

Una sola ragazza, che si guardava le mani a testa bassa, si stagliava al centro del pavimento, con il volto coperto dallo stesso mantello nero che indossava Atropo. 


La loro ansia aumentava man mano che scendevano. Erano combattute:volevano sapere e non sapere. Provavano lo stesso affetto per ognuna delle gemelle, era impossibile dire chi avrebbero preferito trovarsi davanti.


Appena scesero dal carrello, scrutarono per un po' quella ragazza e lei, sentendosi osservata, sollevò delicatamente la testa verso di loro. 

Di solito riuscivano a distinguerle dai loro sguardi, ma stavolta c'era qualcosa di diverso:l'espressione della ragazza era al tempo stesso spenta e ardente, calma e partecipe.


Fu Cloe a porre la fatidica domanda.


"Ma tu...sei Kira o Yvonne?"


La ragazza abbassò nuovamente lo sguardo. Esistevano parole per descrivere la sua trasformazione a chi non l'avesse vissuta in prima persona? E se le avesse trovate, sarebbe stata compresa?


"Entrambe"


Le ragazzine si guardarono tra di loro, perplesse. 


"Visto che l'ultimo filo è stato tagliato sia da Kira che da Yvonne, entrambe si sono fuse ad Atropo e sono diventate la terza Moira. Io sono Yvira, il risultato di quella fusione"


La consapevolezza con cui parlava si scontrava con l'incredulità sui volti delle sorelle.

Sperava che fossero riuscite a capire.


Le due si guardarono un'altra volta e sorrisero, ma cercarono di non cantare vittoria troppo presto. Volevano sapere la cosa più importante.


"Quindi...nessuna di voi due è sparita?"

"Resterete tutte e due insieme a noi, fino al trecentesimo anno?"


Yvira fu intenerita da quelle domande e, quando rispose di sì, fu investita dall'abbraccio migliore che avesse mai ricevuto e pianse di gioia, insieme a loro. Anche Lachesi e Cloto furono contente di riabbracciare, finalmente, la loro sorella.


Tutti quegli anni a tagliare fili, tutta quella competizione, quella paura per il futuro, l'angoscia, la tristezza, tutto era sparito, spazzato via da quei granelli d'argento.


La ragazza, ancora tra le braccia delle sorelle, si voltò verso la porta e vide che era sparita. Allora guardò la finestra e vide un lettino coperto salire sopra un'ambulanza. Fu turbata da quell'immagine, non per quello che vide, ma per quello che provò.


Il nulla.


Eppure aveva posto fine alla vita del suo unico, vero amico, doveva pur provare qualcosa:dispiacere, malinconia, rabbia, qualsiasi cosa.

Nulla. Quelle lacrime non erano per lui, nessuna lacrima lo era.

Forse era questa l'apatia di Atropo, quella che eliminava ogni sentimento verso i mortali.


Solo quando quella scena venne sostituita dall'immagine di una partoriente, Yvira provò qualcosa.


Gratitudine.


"Hai sempre aiutato Kira e Yvonne nel corso della loro vita mortale e oggi l'hai fatto nel modo più importante. Il tuo sacrificio non sarà sprecato:la tua anima resterà in eterno nei Campi Elisi, lontana dalle ombre dell'Ade. Grazie, amico"


Su una delle pareti del quarantesimo piano apparve un nuovo bassorilievo. Vi erano scolpite tre figure e dietro a quella avvolta da un mantello nero si stagliavano due ombre, perfettamente identiche l'una all'altra.

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